Ben ritrovati, miei blasfemi amici, a un nuovo video incentrato sulle opere di Lovecraft.
Leggi tutto: “I Gatti di Ulthar” di Lovecraft – Tutte le storie“I Gatti di Ulthar” – pubblicato in origine sulla rivista The Tryout del novembre 1920 – viene ritenuto uno dei suoi migliori racconti del periodo dunsanyano per via dei sottotesti onirici e simbolici nonché una delle storie preferite dello stesso autore, probabilmente per lo sconfinato amore che provava per “il popolo con la coda” come lo chiamava.
La storia inoltre contiene diversi elementi che si ritrovano in altre opere del Ciclo dei Sogni e che costituiscono una sorta di collante tra i vari episodi.
Atal, qui il piccolo figlio del locandiere, appare adulto in “Gli altri Dei” come adepto del saggio Barzai (che decide di scalare il Monte Hateg-Kla per vedere gli Dei della Terra) e come patriarca del Tempio degli Dei Antichi in “La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath” (dove riferisce a Randolph Carter informazioni sugli Dei della Terra), che è ambientato 300 dopo I gatti di Ulthar e che vede la città ancora densamente popolata da felini.
Sempre in La ricerca onirica i gatti compaiono come aiutante del protagonista Carter, confermando di nuovo la propria natura positiva e la simpatia dell’autore nei suoi confronti.
I gatti di Ulthar – La Trama
A Ulthar, la città oltre il fiume Skai, vide la Legge che proibisce di fare del male ai gatti. Gli abitanti di Ulthar sono gente semplice e superstiziosa e non sanno nemmeno da dove siano giunti questi felini. Il gatto è affine a cose invisibili per gli uomini, custode di memorie dimenticate dell’Africa oscura, è più antico della Sfinge e ricorda più cose di quest’ultima.
A Ulthar vivono due vecchi coniugi che amano intrappolare e uccidere i gatti. Gli abitanti della città preferiscono lasciare correre piuttosto che infastidire i loschi figuri, e si limitano a tenere gli animali al sicuro dopo il tramonto. Ciò nonostante più di un gatto finisce vittima delle turpi abitudini dei due contadini.
Un giorno giunge a Ulthar una carovana di nomadi dalla pelle scura proveniente da una qualche remota località. Essi recitavano strane preghiere e sui fianchi dei carri riportano figure umanoidi con teste di animali: costoro predicevano il futuro in piazza e acquistavano perline d’argento. Il loro capo indossa un copricapo con le corna e un disco al centro.
Alla carovana appartiene il piccolo Menes, orfano e dalla salute cagionevole, che nonostante le tristezze della vita trae conforto dalla compagnia del suo piccolo gattino.

Un giorno il gatto scompare e, dopo essersi disperato, il ragazzo viene a sapere della tragica sorte spettata a molti gatti di Ulthar, e probabilmente al suo piccolo amico.
Allora Menes prende a pregare rivolto al sole e nel cielo di disegnano strane figure. Quella notte i nomadi se ne vanno. Al contempo, tutti i gatti risultano scomparsi, e qualcuno pensa che i responsabili siano i viandanti.
Athal, il piccolo figlio del locandiere, afferma di avere visto tutti i gatti riuniti e dirigersi verso qualche direzione. Il giorno dopo tutti i gatti ricompaiono, nessuno escluso, ben pasciuti e soddisfatti, al punto che per un po’ di tempo non hanno più bisogno di nutrirsi.
Dopo una settimana, gli abitanti del borgo si accorgono che i vecchi non sono più riapparsi. Il borgomastro e due accompagnatori vanno a verificare le loro condizioni.
Abbattuta la porta delle loro dimore, trovano i loro scheletri e un gran numero di scarafaggi.
Grande è lo sconcerto della popolazione e, dopo avere discusso della vicenda, viene promulgata la legge che proibisce a Ulthar di fare del male ai gatti.
I gatti di Ulthar – Genesi opera e analisi
Il racconto nasce da una poesia e da un sogno che l’autore ricorda in una lettera del 21 maggio 1920 a Reinhart Kleiner, dove definisce la trama come semplice ma spaventosa e riporta la frase che compare all’inizio: “Il gatto è enigmatico, e affine alle cose arcane che l’uomo non può vedere”.
La storia venne scritta in un solo giorno e venne pubblicata su The Tryout di novembre 1920, poi su Weird Tales di febbraio 1926 e 1933. Una versione alternativa venne scritta a memoria da Lovecraft nell’estate del 1931 per una esposizione davanti agli studenti di Henry S. Whitehead in Florida, ma non è sopravvissuta.
La storia risente chiaramente dello stile onirico del suo idolo Lord Dunsany, del quale ha ripreso i temi dei viandanti e della vendetta. Secondo il critico Darrell Schweitzer però Dunsany preferiva i cani ai gatti e non sarebbe stato entusiasta di questo tributo, anche se secondo S.T.Joshi è una delle storie che deve di più all’immaginario dunsanyano.
La popolazione dei nomadi presente nel racconto è di ispirazione egizia; Menes, secondo le cronache, è il nome del primo faraone della prima dinastia d’Egitto. Gli antichi egizi erano appunto adoratori dei gatti e avevano reso un crimine uccidere i felini.
Oltre a ciò, chiaramente, una fonte ispiratrice è indubbiamente lo sconfinato amore dell’autore per i gatti, il quale aveva espresso la propria posizione nel saggio “Cats and Dogs”.
Ulthar appare in diverse versioni a fumetti, come quella di Nicola Pesce Editore a opera di Giuseppe Congedo e Antonio Montano, quella di Gino Carosini (Studi Lovecraftiani 19 edito Dagon Press). Ulthar e i suoi gatti appaiono anche nel numero 231 di Dampyr. Nella miniserie a fumetti Providence appare una band musicale chiamata “I gatti di Ulthar”. Ulthar è anche il nome di una band death metal californiana.
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